Aiuto, mi è sparito il lavoratore!

Editoriale essecome online n.4/2022

In questa torrida estate, già angosciante per la guerra in Ucraina, le varianti del coronavirus e le crisi dei governi, si aggira anche un fantasma che sta turbando i sonni dei datori di lavoro.
E’ il fantasma dei lavoratori, improvvisamente scomparsi per ogni mansione e attività.
Dagli amministrativi ai commerciali, dai tecnici ai centralinisti, dai camerieri alle guardie, la “manodopera” sembra svanita nel nulla, lasciando scoperte decine di migliaia di posti di lavoro. Molte imprese devono rinunciare a nuove commesse ma c’è chi deve pagare penali per ritardi nelle consegne o per appalti non eseguiti e, in qualche caso estremo, c’è perfino chi ha dovuto chiudere l’attività.
Si moltiplicano le ricerche e le analisi per individuare le cause di un fenomeno così esteso e trasversale, piombato inatteso dopo la pandemia proprio quando ci sarebbero tante opportunità di cogliere.
In generale, i sondaggi si concentrano sui giovani e le loro aspettative con domande (e risposte) più o meno scontate, dalle possibilità di carriera al rispetto per la libertà individuale, dal clima aziendale alle esperienze internazionali, ma nessuna – non si capisce se per censura preventiva, falsi pudori o altro - tocca il punto più ovvio che, pure, è sotto gli occhi di tutti: il livello delle retribuzioni.
In quasi tutti i lavori, perfino quelli che richiedono titoli di studio o competenze specifiche, lo stipendio è oggi di solito di poco superiore al reddito di cittadinanza. Altrimenti, si spazia dagli stage a ripetizione per neo-laureati con rimborso delle spese di viaggio e, forse, del panino giornaliero ai tre o quattro euro all’ora per i lavori meno qualificati, come i servizi di accoglienza, le pulizie, il facchinaggio, le consegne a domicilio, i call center ecc.
E’ vero che in Italia il costo del lavoro è gonfiato dal cuneo fiscale, ma tutti sanno che un suo taglio consistente è di fatto impedito dal nostro enorme debito pubblico e, soprattutto, dai conti dell’INPS che riceve sempre meno contributi dai lavoratori attivi mentre deve pagare sempre più pensioni per quelli inattivi che, fra l’altro, vivono sempre più a lungo.
Scolasticamente, nel libero mercato l’aumento della domanda a fronte della diminuzione dell’offerta fa aumentare il prezzo del bene o del servizio. Ai datori di lavoro non resterà dunque che aumentare gli stipendi se vogliono trovare manodopera che, senza tanti giri di parole, si sta confermando un fattore essenziale della produzione anche nell’era digitale.
Come naturale conseguenza aumenteranno anche i prezzi, in particolare nei servizi “labour intensive” dove gli incrementi sarebbero direttamente proporzionali ai maggiori costi della manodopera, non essendoci tecnologie o materiali ad integrare il contenuto delle prestazioni.
A quel punto, la palla passerà inevitabilmente agli utilizzatori di quei servizi: quanto sono disponibili ad accettare gli aumenti dei prezzi necessari per pagare in modo più dignitoso e attraente le persone che lavorano nei loro magazzini, negozi e furgoni per mandare avanti il loro business, spesso rappresentando l’immagine dell’azienda verso i clienti?
Se mancasse questa disponibilità, forse per qualche tempo troverebbero ancora fornitori d’assalto disposti a lavorare a tariffe “criminogene”- tali in quanto costringono a evadere fisco, oneri sociali, sicurezza sul lavoro, formazione e quant’altro sulla pelle di lavoratori sfruttati e demotivati - ma, prima o poi, il problema verrebbe a galla, magari con danni reputazionali ben più dannosi dei soldi risparmiati, come già successo svariate volte ad aziende famose in tutto il mondo.
Come già detto in altre occasioni, il problema non è di etica ma di convenienza e, ci sia permesso, anche di sicurezza, nel senso più completo del termine.

immagine: “Quarto stato” Giuseppe Pellizza da Volpedo – Galleria d’Arte Moderna - Milano

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