Vigilanza, inviato al vice ministro Bubbico un documento unitario sui servizi sussidiari

Con un inedito documento unitario, le parti sociali più rappresentative della vigilanza privata italiana – ANIVP, ASSIV, Assvigilanza, UNIV, Legacoop Servizi, Confcooperative e AGCI Servizi dalla parte datoriale e Filcams/CGIL, Fisascat/CISL e Uiltucs/UIL dalla parte dei lavoratori – hanno presentato al vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico e ai vertici del Viminale alcune richieste urgenti per evitare che il settore venga messo in ginocchio dalle contraddizioni di una riforma ancora non completamente realizzata. 

Il problema fondamentale è rappresentato dalla mancanza di un definitivo chiarimento dei contenuti della vigilanza sussidiaria e dei requisiti dei soggetti autorizzati in via esclusiva a svolgerli, che il documento esplicita con tre richieste puntuali:

a. la tutela del perimetro delle attività di competenza esclusiva del personale decretato ex art.138 del TULPS
b. la qualificazione delle imprese di vigilanza privata a seguito dell’applicazione del DM 269/2010 e 115/2014
c. il riconoscimento del CCNL di categoria quale elemento necessario per la tutela dell’impianto normativo di settore

Una quarta e ultima richiesta è rivolta al contestuale chiarimento dei limiti dei servizi non regolamentati, ovvero delle “attività non comprese fra quelle di cui all’art. 256 bis del Regolamento di attuazione del TULPS”. 

Il documento riprende dunque le posizioni espresse dai rappresentanti della categoria in occasione del convegno del 23 marzo sulla certificazione e nelle interviste rilasciate a essecome 2/2016, per evidenziare il disagio di coloro che si sono prodigati per adeguare le imprese ai nuovi e gravosi requisiti previsti dalla riforma, dovendo però subire la concorrenza sia da parte degli istituti di vigilanza non in regola che della cosiddetta “altra vigilanza”, ovvero di operatori privi di qualifiche e di contratti di lavoro sostenibili. Una situazione che i firmatari del “position paper” attribuiscono al ritardo dell’Amministrazione nella definizione dei servizi inibiti ai soggetti non in possesso dei requisiti di legge e, soprattutto, alla mancanza di controlli e di certezza delle sanzioni, che dovrebbero estromettere dal mercato i soggetti che non rispettano le norme.

Come risponderanno il vice ministro e i dirigenti del Viminale a un documento che denuncia senza mezzi termini una situazione potenzialmente esplosiva per l’intero sistema della sicurezza sussidiaria del paese, proprio nel momento in cui lo Stato stesso se ne dovrebbe avvalere con maggiore intensità e frequenza? In che modo Governo e Amministrazione potranno garantire l’indispensabile certezza della pena in un sistema in cui i TAR hanno finora vanificato la quasi totalità dei provvedimenti di revoca o di sospensione delle attività faticosamente incardinati dalle prefetture locali?

Infine, come si potrà (o vorrà) superare l'equivoco di quella "altra vigilanza" determinato dalle stesse mancanze di certezza di norme e di pene, che ha consentito a operatori privi di qualsiasi qualifica  e controllo di erodere migliaia di posti di lavoro alla vigilanza qualificata anche presso l'utenza pubblica, solo per motivi economici? Un equivoco che in Italia potrebbe corrompere il modello di "impresa di sicurezza"  consolidato a livello internazionale, nel quale convivono la vigilanza sussidiaria, le attività tecnologiche, i servizi di facility management per la gestione degli edifici, per un'offerta integrata a tutte le categorie di utenti. Un modello al quale si stanno già adeguando i principali operatori italiani e che dovrà necessariamente trovare adeguata rispondenza a livello normativo e rappresentativo.   

 

A cura della Redazione

 

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