Quanto sono etiche e sostenibili le imprese della sicurezza? Test di autovalutazione

Editoriale essecome online 7/2022

Il tema è delicato, meglio prenderlo alla larga.
Partiamo dal fatto che si sta finalmente diffondendo una maggiore attenzione per la sostenibilità dei comportamenti nei confronti dell’ambiente.
E’ di certo un buon segno ma è solo il primo passo per sperare di contenere i danni che noi umani abbiamo inferto al pianeta negli ultimi decenni, se possibile in modo razionale e senza farci prendere da facili entusiasmi.(*)
Un altro buon segno è che nella UE si sta sviluppando una concezione di sostenibilità delle imprese più ampia che, sotto la responsabilità dei vertici aziendali, guarda anche all’ambiente sociale, ovvero ai comportamenti nei confronti dei diritti umani. (vedi video SFR 2022)
Questa impostazione tende chiaramente a far diventare le azioni sostenibili altrettanti criteri di merito per ottenere la fiducia degli aventi causa. Una nuova visione in cui la sostenibilità o, se preferiamo, l’etica aziendale diventa un argomento ‘buono’ per il marketing dei fornitori e per le scelte degli utilizzatori.

Come abbiamo già sottolineato (vedi), si potrebbe delineare una grande opportunità per l’intera filiera della sicurezza nell’offrire le proprie competenze alle altre imprese per la compliance ai criteri della sostenibilità, ma si impone inevitabilmente una domanda: qual è il livello di consapevolezza in merito a questi argomenti presso gli operatori della filiera?
E, già che ci siamo, come sono messi nel rispetto delle norme cogenti, tecniche e di deontologia professionale, date le prospettive di un sempre maggiore coinvolgimento del comparto privato nella sicurezza dell’intero Sistema Paese?

Per capire se ‘il ciabattino ha le scarpe bucate’ potrebbe tornare utile un piccolo test di autovalutazione applicabile a tutti gli anelli della catena del valore della sicurezza fisica e informatica: produttori, distributori, progettisti e integratori di tecnologie, istituti di vigilanza, società di servizi, consulenti.
Poche domande, alle quali rispondere nel segreto della propria stanza:

1. Sul piano ambientale, è stato già implementato oppure è in programma un progetto concreto per la riduzione delle emissioni di CO2 che non si limiti all’uso di auto meno inquinanti ma prenda in considerazione l’intero processo produttivo dell’azienda, comprese le caratteristiche dei prodotti e/o dei servizi proposti al mercato?
2. Sul piano sociale, vengono regolarmente applicati i contratti di lavoro ed osservate le norme previdenziali, fiscali, di formazione e di sicurezza dei lavoratori per non innalzare artificiosamente il profitto e/o attivare pratiche di concorrenza sleale?
3. Sul piano della correttezza gestionale, sono stati implementati modelli organizzativi per evitare pratiche di corruzione e/o evasione fiscale e/o riciclaggio o, almeno, c’è la volontà imprenditoriale di farlo?
4. Sempre su questo piano, c’è consapevolezza delle responsabilità del fornitore rispetto alla qualità dei prodotti venduti, degli impianti realizzati, dei servizi erogati?

(*) A mero titolo di esempio, quanti sanno che un’auto elettrica produce nel ciclo di vita, dalla costruzione alle ricariche ed allo smaltimento delle batterie, circa 40 tonnellate di C02 pari a 14.000 litri di benzina, ovvero a 200.000 km percorsi da un’auto media? E che viaggiare in aereo produce 285 grammi di CO2 al km/passeggero, pari a 20 volte il treno e oltre 5 volte un’auto grande?

(In caso di riproduzione anche parziale, citare la fonte)

 

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