Cassazione, riconfermati i limiti delle GPG
La VI sezione della Corte di Cassazione Penale ha emesso il 7 giugno scorso la sentenza n. 25152/2013, con la quale ha riconfermato che la valenza della qualifica di “incaricato di pubblico servizio” ovvero di pubblico ufficiale per le guardie giurate, è limitata al mero svolgimento delle attività di vigilanza e custodia delle entità patrimoniali ad esse affidate.
Il fatto in sintesi: la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Bari, che a sua volta aveva confermato una sentenza del 27 ottobre 2010 del Tribunale di Bari, sezione di Altamura, con la quale il ricorrente era stato condannato per violenza e lesioni a pubblico ufficiale, avendo ferito a coltellate due guardie giurate intervenute per sedare una rissa. Poiché la rissa è avvenuta al di fuori dello stretto ambito patrimoniale che le guardie erano incaricate di vigilare e l’aggressione nei loro confronti non ha impedito direttamente lo svolgimento della loro attività istituzionale, la responsabilità dell’aggressore è stata di conseguenza derubricata.
Questa decisione della suprema Corte non modifica, né avrebbe avuto motivo di farlo, la costante giurisprudenza degli ultimi decenni, che delimita alla sfera spazio/temporale dello svolgimento della funzione istituzionale di vigilanza e di custodia dei beni patrimoniali affidati, la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio e, quindi di pubblico ufficiale.
Al fine di evitare confusioni, è utile ricordare che la “funzione istituzionale di vigilanza e custodia dei beni patrimoniali affidati” risale al disposto del TULPS del 1931, che stabilisce che una guardia giurata può vigilare i beni del proprio datore di lavoro in virtù dell’art. 133 (esempio i guardiani di una fabbrica direttamente dipendenti da essa), oppure quelli di terzi, se dipendente di istituto di vigilanza munito di licenza di PS, purchè si tratti di clienti con regolare contratto (art. 134). La Cassazione ha sempre negato l’estensione della qualifica di incaricato di pubblico servizio e quindi di pubblico ufficiale, prima e dopo il turno di servizio (per esempio durante il percorso per raggiungere il posto di lavoro, anche se in divisa e con l’arma di ordinanza), oppure se l’episodio avveniva durante il trasferimento tra un cliente e un altro, nel caso di servizi di pattuglia sul territorio. In questo caso, inoltre, l’intervento delle guardie non era finalizzato alla tutela della proprietà affidata, ma per la tutela dell’ordine pubblico, che rimane di esclusiva pertinenza delle Forze dell’Ordine.
A cura di Raffaello Juvara – riproduzione riservata
Estratto dalla sentenza 25152/2013 - Corte di Cassazione Penale – 7 giugno 2013:
“3. Il ricorso (contro la sentenza della Corte di appello di Bari - ndr) è fondato con riferimento al reato di cui al capo A).
La sentenza impugnata ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo alle due guardie giurate in quanto intervenute su segnalazione del titolare di un esercizio commerciale “innanzi al quale si stava verificando una rissa”, ritenendo che l’intervento fosse stato richiesto allo scopo di tutelare la proprietà mobiliare e immobiliare dell’esercizio, ricompreso nell’ambito di un complesso residenziale in cui svolgevano attività di vigilanza.
Si osserva che in forza del combinato disposto degli artt. 133 e 134 del T.U.L.P.S., le guardie giurate possono essere destinate, previa autorizzazione prefettizia, soltanto alla vigilanza e alla custodia di entità patrimoniali, rivestendo la qualifica di incaricato di pubblico servizio allorché svolgano attività complementare a quella istituzionalmente loro affidata; si è anche precisato che sebbene in servizio presso pubbliche amministrazioni, esse svolgono esclusivamente compiti di tutela del patrimonio e che, qualora intervengano al di fuori delle loro attribuzioni istituzionali non possono assumere la qualità di incaricati di pubblico servizio ovvero di pubblici ufficiali (Sez. VI, 14 novembre 2008, n. 45444, Divano; Sez. VI, 27 aprile 2004, n. 28347, Addari).
Nel caso in esame, emerge, dalla stessa sentenza, che la rissa era avvenuta non all’interno del locale, ma nella strada prospiciente e che all’arrivo delle guardie giurate la rissa era già terminata con la fuga dei litiganti, ad eccezione dell’imputato che aveva proferito nei loro confronti minacce ed ingiurie, prima di essere bloccato. Si tratta di circostanze di fatto, ritenute pacifiche, che avrebbero dovuto portare ad escludere che l’intervento delle due guardie giurate rientrasse nei compiti d’istituto loro affidati; d’altra parte, che si sia trattato di attività estranea a quella istituzionale collegata alla vigilanza e alla custodia dei beni, neppure rientrante in quella ad essa complementare, lo ammette la stessa sentenza là dove, per escludere ogni ipotesi di atto arbitrario, si riferisce all’intervento delle due guardie giurate come finalizzato a “garantire l’ordine pubblico turbato dalla condotta minacciosa e poi oppositiva dell’imputato”.
Ed effettivamente è quanto accaduto nella fattispecie, in quanto V. e R. non hanno posto in essere alcun atto che possa essere ricompreso nell’attività di vigilanza e di custodia di entità patrimoniali, dal momento che l’esercizio commerciale davanti al quale vi era stata una rissa non era affatto minacciato dall’azione dell’imputato, azione che si è rivolta esclusivamente nei loro confronti. Ne consegue che non potendo derivare la qualità di incaricato di pubblico servizio dall’esplicazione dell’intervento posto in essere dalle due guardie giurate, perché estraneo ai compiti di istituto, non è configurabile il reato di cui all’art. 336 c.p..
Pertanto, la sentenza impugnata, con riferimento al reato di cui al capo A), deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.”