Videosorveglianza, che non sia il caso di regolamentarla?

"Ci piace essere guardati?" è il titolo dell'articolo di Chiara Severgnini pubblicato da "7", il supplemento del Corriere della Sera, sulle conseguenze per la privacy delle persone derivanti dalla diffusione dei sistemi di videosorveglianza per la strada e dentro le case.

Partendo dagli interrogativi innescati da una diffusione incontrollata dei droni, l'articolo entra opportunamente nel merito dell'utilizzo delle immagini da parte di soggetti ignoti. Un argomento che sta diventando sempre più importante per il futuro del settore, anche alla luce delle direttive del GDPR 679/2016 sulla tutela dei dati personali, fra i quali rientrano ad ogni titolo le immagini riprese dalle telecamere, pubbliche o private.

Il tema è, in realtà, vecchio almeno quanto la videosorveglianza stessa: quando hanno cominciato ad apparire i primi impianti TVCC nelle banche, negli edifici pubblici e per le strade, è serpeggiata subito la preoccupazione sull'impiego delle riprese delle persone, soprattutto se raccolte a loro insaputa. Sono arrivate abbastanza tempestivamente regole finalizzate a informare i "passanti" della presenza di telecamere ed a delimitarne l'uso in particolare nei posti di lavoro, ma la gente ha cominciato ad essere meno diffidente verso di loro solo quando ha capito, attraverso le cronache, quanto potessero servire per scoprire gli autori di delitti di ogni genere.

La diffusione delle telecamere ha cominciato pertanto a generare nei cittadini una sensazione di maggior sicurezza, ritenendo vantaggioso lo scambio con una minore privacy, in una fase di crescente e generalizzata percezione di insicurezza.

Ma la moltiplicazione esponenziale delle telecamere in ogni angolo del mondo, lo sviluppo di tecnologie sempre più evolute di analisi delle immagini e, non ultimo, la trasformazione delle telecamere da dispositivi operanti in un circuito chiuso a oggetti in rete, quindi esposti ad attacchi informatici di ogni tipo, sta facendo nascere nell'opinione pubblica nuovi interrogativi, quanto meno su "chi" e "perché" stia utilizzando le immagini di una data persona, riprese in un dato momento in un dato luogo.

Senza dubbio, la Cina presenta in questo momento l'esempio più inquietante di questi scenari. I maggiori produttori cinesi (Hikvision e Dahua) sono appena stati messi al bando negli Stati Uniti (leggi) formalmente per motivi di "sicurezza nazionale", anche se con qualche dubbio che il blocco sia dovuto, almeno in parte, alla guerra commerciale in corso tra USA e Cina.

In Italia il problema non si è ancora posto, visto che Consip, l'agenzia governativa preposta agli acquisti per tutta la PA, demanda alle singole amministrazioni il controllo sulla qualità e la sicurezza IT delle telecamere prescelte (leggi).

Sarebbe invece il caso che enti governativi nazionali ed istituzioni ponessero più attenzione ad un fenomeno che potrebbe generare, nel tempo, problemi molto seri non solamente ai singoli cittadini. La scoperta di essere esposti ad un "inquinamento ambientale da videsorveglianza" per l'utilizzo indiscriminato e incontrollato delle immagini potrebbe non essere così remota.

(A cura di Raffaello Juvara - in caso di riproduzione, citare la fonte)

 

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