Due passi per la sicurezza della nostra libertà

Editoriale di essecome quarterly n. 1/2022
(Foto: Viandante sul mare di nebbia – Caspar David Friedrich 1818)

Si sta parlando molto dei rischi legati allo strapotere dei GAMF (Google, Amazon, Microsoft, Facebook) che, grazie al controllo dell’informazione ed alla profilazione di massa degli utilizzatori, avrebbero sopravanzato gli Stati nell’esercizio della sovranità nei confronti dei propri cittadini e perfino nelle relazioni con gli altri Stati, come ha fatto capire la contrapposizione tra USA e UE sulla tassazione dei profitti delle Big Four.
In un recente saggio, Jacques Attali sostiene che “la democrazia e i suoi compromessi saranno sempre meno amati e difesi, con gli Stati che diventeranno solo dei prestanome di grandi multinazionali planetarie” e aggiunge che: “passeremo dall’attuale situazione di ipersorveglianza all’autosorveglianza, quando le persone saranno rassegnate a fornire volontariamente ogni informazione su di sé in cambio di sicurezza.” (‘Disinformati’ - ed. Salani, 2021).

Si parla invece meno degli altrettanto sostanziosi rischi legati alla globalizzazione delle tecnologie di uso comune.
Il cloud è forse l’esempio più noto e immediato di strumenti che sovrastano e annullano i confini geo-politici degli Stati, ma sappiamo quanti e quali sono i servizi e i prodotti critici per la salute, la sicurezza e la continuità operativa delle comunità e dei singoli individui realizzati utilizzando componenti fisiche, informazioni e software sviluppati in luoghi diversi del mondo? In luoghi i cui governanti potrebbero all’improvviso farsi la guerra o, più semplicemente, entrare in competizioni commerciali senza esclusione di colpi?

Se il coronavirus ha fatto capire che la ricerca scientifica globalizzata ha consentito lo sviluppo di vaccini in tempi brevissimi, la guerra in Ucraina ha fatto invece “scoprire” che uno degli antivirus più diffusi al mondo è russo, di una nazione diventata improvvisamente ostile per le altre in Occidente con le quali aveva tranquillamente commerciato fino al giorno prima.
E in questo momento ci sono purtroppo anche motivi per temere una crisi nel Pacifico per la sovranità di Taiwan, che potrebbe determinare effetti devastanti in tutto il mondo occidentale non solo per approvvigionamento di dispositivi elettronici (e non), la cui fabbricazione è stata negli anni completamente delegata alla Cina per motivi economici, ma anche per la sicurezza dei dati acquisiti da quei dispositivi installati ovunque in Occidente, ove non venissero adeguatamente protetti.

Di fronte ad uno scenario così articolato e complesso, non sarebbe il caso che le organizzazioni pubbliche e private (ma anche le singole persone, su un piano diverso) facessero una bella analisi delle minacce attuali e future alle quali ritengono di essere esposte e si attrezzassero per tempo per difendere quanto c’è di buono della globalizzazione digitale?
Partendo dalla scelta consapevole delle informazioni su se stessi da mettere online per arrivare alla crittografia end-to-end e agli IoT gateway passando per la verifica dei fornitori, le soluzioni ci sono e non sono impossibili da realizzare.
Se rendersi conto che si può fare è il primo passo, volerlo fare sarebbe il secondo per mettere in sicurezza la nostra libertà.

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