L'Università di Udine guarda al futuro della videosorveglianza

 

All’Univesità degli Studi di Udine,  si sono chiesti  se sia possibile immaginare un’integrazione su smartphone e tablet di sistemi sviluppati di video sorveglianza estesa e distribuita superando i tradizionali sistemi basati su telecamere. Videosorveglianza 2.0 a tutti gli effetti, uno scenario che potrebbe cambiare radicalmente le attuali modalità di gestione verticistica della videosorveglianza.

Il seminario del Dipartimento Matematica e Informatica dell’Università di Udine intitolato “Sorveglianza diffusa: colmare il divario tra mobile vision e videosorveglianza” (Ubiquitous Surveillance: bridging the gap between mobile vision and video surveillance) si è tenuto mercoledì 27 novembre nell’aula multimediale del Dipartimento, presso il polo scientifico dell’Università di Udine. L’ampia diffusione di potenti smartphones e tablet rende ormai una realtà l’implementazione di complessi sistemi di visione artificiale su dispositivi mobili. Già diverse applicazioni autonome di elaborazione delle immagini e video possono infatti essere eseguite su dispositivi mobili. D’altra parte, però, non vi sono ancora sistemi che integrano queste applicazioni con i tradizionali sistemi di videosorveglianza basati su telecamere«Le diverse problematiche che questa integrazione richiede – spiega Micheloni dell’Università di Udine non sono ancora state risolte. Per esempio, la calibrazione tra i dispositivi con piena libertà di movimento e telecamere standard, le limitazioni in termini di capacità sia computazionale che di memoria, la gestione della batteria e altre ancora. L’incontro  ha affrontato alcuni tra questi problemi fornendo possibili direzioni di ricerca per lo sviluppo di sistemi di video sorveglianza estesa e fortemente distribuita». 

Intanto a Mestre, una delle tante città italiane dove la notte è impossibile vivere, i ragazzi delle ronde 2.0 filmano e mettono sul web i crimini. Girano per le strade e riprendono pusher e violenti. Poi va tutto su Facebook e alla polizia: «Riprendiamoci la città». L’articolo che presenta l’iniziativa pubblicato sul Corriere della Sera così recita: “Coprono il viso con baveri, cappucci e sciarpe, per non essere riconoscibili. Ma non sono né ladri né rapinatori: sono armati solo di torce e telefonini. Sono i ragazzi del Comitato Sos Mestre, gli ideatori di quelle che si possono definire «ronde 2.0»: la rete e i social network sono gli strumenti per segnalare le situazioni di disagio della città. Materiale che poi finisce nella loro pagina Facebook, dove si può incappare nella descrizione di una rissa in diretta come nell’annuncio di una serie di furti. Una forma di servizio di vigilanza globale che nasce in un momento caldo per la questione sicurezza a Venezia”.

A cura di Andrea Caragnano - riproduzione riservata.

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